Lo sviluppo del retail in Cina – Workshop Confimprese.

Lo sviluppo del retail in Cina – Workshop Confimprese.

📅17 Aprile 2013, 11:12

Mille miliardi di dollari di vendite al dettaglio con un trend incrementale del 15% su base annua.

La Cina continua a fare appetito al settore retail, che attualmente soddisfa il 20% della popolazione e che ha dunque ampi margini di crescita.

Nel ranking delle città, dove nel 2012 si è registrato il più alto tasso di crescita nel retail, Pechino è in pole position con quasi 8 milioni di dollari di vendite (+15%) e un reddito pro-capite di 36mila dollari, seguita da Shanghai con oltre 7 milioni (+14,3%) e un reddito di 40mila dollari e da Ghoungzhou con 6 milioni (+12%) e un reddito di 38mila dollari (dati CBRE).

Questo ciò che è emerso dal convegno ‘Business retail in Cina’, organizzato da Confimprese in Fiera MilanoCity con la collaborazione del mensile Retail&Food e la partnership di Diacron, Eversheds Bianchini, Htlc Network e Unicredit.

«Nel 2020 – commenta Mario Resca, presidente Confimpresein Cina ci saranno 420 milioni di consumatori appartenenti alla middle-Lo sviluppo del retail in Cina | Workshop Confimprese.class, un numero pari a 6 volte la popolazione dell’Italia. La saturazione degli spazi di sviluppo del retail in Europa occidentale costituisce un forte incentivo per chi vuole investire in Oriente, dove i mercati retail locali hanno un bacino di consumatori in grande crescita. Inoltre, stanno aumentando i livelli salariali e di conseguenza la domanda di beni di consumo, soprattutto quelli prodotti dai brand occidentali. Per questo Confimprese ha varato il progetto ‘Internazionalizzazione e Retail’, che prevede l’avvio di un osservatorio sui processi di internazionalizzazione delle imprese italiane del moderno commercio a catena, nell’intento di supportare gli associati che esplorano nuovi mercati in cui svilupparsi».

Non bisogna, tuttavia, sottovalutare alcune difficoltà di penetrazione nel mercato cinese, legate a problematiche di natura sindacale e alla gestione della forza lavoro. In base alla Legge del 2001 il sindacato ACFTU (All China Federations of Trade Unions) ha acquisito maggiore forza contrattuale, tanto che può arrivare a chiedere l’annullamento del licenziamento, se pure la sua funzione rimane principalmente quella di sostenere il lavoratore nel periodo che segue la perdita del posto di lavoro.

Inoltre, il turnover in Cina supera di gran lunga i normali livelli fisiologici ed è molto elevato, in quanto il lavoratore è disposto a cambiare il posto di lavoro per una retribuzione di poco superiore a quella precedentemente percepita. Per il retailer straniero non è facile muoversi all’interno di queste dinamiche complesse e corre, dunque, il rischio di un fallimento dell’intero progetto di sviluppo distributivo, oltre che di errata gestione del rapporto con il lavoratore.

Un primo sbarco in Cina potrebbe anche avvenire inizialmente attraverso l’e-commerce, che cresce a ritmi del 40% l’anno e che nel 2016 supererà i 300 miliardi di euro. La Cina è il secondo mercato asiatico con 86 miliardi di euro di vendite online, dietro al Giappone (99 miliardi di euro), ma ha una spesa pro-capite annua ancora bassa: 390 euro vs 2,790 degli Usa, 1,784 della Gran Bretagna e 1,074 dell’Italia. Il 68,1% dei cinesi acquista online abbigliamento e calzature, il 30% prodotti cosmetici, il 20% food.

«Il futuro del retail risiede nell’espansione all’estero– conclude Resca –, soprattutto nei mercati dove il concetto del commercio a catena è già fortemente sentito e pertanto sosteniamo le nostre imprese che decidono di sbarcare in Cina, dove pur con le difficoltà sopra descritte, c’è ancora spazio per crescere. Attualmente è presente il 47% circa dei retailer internazionali, mancano ancora molti marchi dalle calzature all’abbigliamento, dall’entertainment alla ristorazione fino alla gioielleria e all’accessoristica, settori ben rappresentati in Confimprese».

www.confimprese.it


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