Nella sfida tra le due case di make up, il secondo round, ovvero l’Appello, si chiude di nuovo, dopo la positiva sentenza in primo grado, a favore di Kiko. Un procedimento che si trascina dal 2015 e che vedrà la parola definitiva in Cassazione.
La colpa imputata a Wycon, per cui dovrà pagare a KIKO 716.250 euro di danni spese legali comprese, è di aver fatto concorrenza sleale (anzi, «parassitaria») alla rivale, copiando modello, concept store e addirittura il grembiule delle commesse, violando così ogni principio di correttezza professionale e creando di conseguenza confusione e sovrapposizione di marchio nei confronti dei consumatori.
Concept store e diritti d’autore
Il dibattito sull’originalità dei concept store, per la quale è stato fatto valere il diritto d’autore, ha visto da una parte la ferma posizione di Kiko (Gruppo Percassi), che ha presentato le fatture dello studio di architetti Iosa Ghini Associati, progettisti del concept e dall’altra Wycon, che ha portato foto di altre profumerie che, secondo Wycon, sono simili l’una all’altra.
Ma il giudice ha ribadito che, mentre le altre profumerie (ad eccezione di Limoni) presentano design differenti, inconfutabilmente quelle di Wycon sono copiate dal brand di Percassi, e che il modello Kiko ha carattere «originale e creativo». Così, ora Wycon dovrà modificare i 120 negozi presenti sul territorio nazionale entro 150 giorni dalla notifica della sentenza esecutiva, con una penale di 10 mila euro per ogni negozio non modificato entro i termini stabiliti.
Kiko ha avuto in passato una disputa, per lo stesso motivo, anche con Limoni, le profumerie rivali hanno in quel caso deciso di non prendere la strada del muro contro muro e transare la causa. Lo stesso era accaduto in Francia, dove Kiko aveva vinto un contenzioso contro Reserve Naturelle, di nuovo colpevole d’aver copiato il format degli store.
La questione con Wycon è iniziata nel 2009, quando Kiko sosteneva che Wjcon (allora con la j al posto della y,) avesse vampirizzato nei propri negozi il progetto di design di arredi di interni per monomarca stilato nel 2005 dallo studio Iosa Ghini Associati e replicato a partire dal 2006 in 299 negozi in Italia: tutti con le stesse simmetrie ed essenzialità nella combinazione di open space, grandi grafiche retroilluminate, prodotti inseriti in alloggi traforati in plexiglass su isole a bordo curvilineo, schermi tv incassati, colori bianco-nero-rosa-viola, e luci a effetto discoteca.
Wjcon opponeva invece i due provvedimenti del Tribunale di Milano nel 2009 e di Roma nel 2012 che le erano stati favorevoli in sede cautelare, e ribatteva che nei negozi non poteva parlarsi di confusione o copiatura, giacché negli allestimenti del settore esistono “elementi necessitati e diffusamente utilizzati”».
Dopo il primo grado favorevole a Kiko, con decisione simile a quella di questi giorni (risarcimento e modifica dei punti vendita), la Corte nel 2016 aveva sospeso la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado in attesa della sua cognizione piena, almeno per quanto riguardava la modifica dei negozi, anche se la sentenza «non palesava errori immediatamente rilevabili». Si vietava comunque a Wycon di aprire nuovi store con le caratteristiche dei precedenti. E ora il nuovo capitolo.
Successivamente alla pubblicazione della notizia della sentenza della Corte d’Appello in favore della Kiko, Wycon ha diffuso in comunicato stampa in cui rende noto «di essere in netto disaccordo con tale pronuncia, che sarà oggetto di impugnazione in Cassazione».
L’azienda, infatti, continua a ritenere le richieste di Kiko infondate e cita nella nota stampa diversi procedimenti giudiziari che, a suo parere, darebbero ragione alla sua tesi. «In particolare, in un procedimento d’urgenza – si legge nel comunicato stampa di Wycon -, il Tribunale di Lisbona ha affermato con provvedimento del 31.3.2017 che l’allestimento dei negozi Wjcon è diverso, per vari aspetti, da quello dei negozi Kiko e che gli elementi comuni ai due allestimenti sono generalmente usati anche da altri operatori del settore. Il Tribunale di Lisbona ha quindi dichiarato che l’allestimento dei negozi Kiko non è originale e non può essere oggetto di tutela. Questo provvedimento è stato confermato, a seguito di impugnazione, da una pronuncia della Corte d’Appello di Lisbona del 13.7.2017.
Anche il Tribunale di Liegi con provvedimento cautelare del 6.12.2016, ha respinto le domande di Kiko affermando che l’allestimento dei suoi punti vendita non è originale, essendo costituito da elementi di arredo banali e diffusi in vari negozi. Il procedimento di impugnazione è attualmente sospeso. I provvedimenti stranieri favorevoli a Wycon sono in linea con altre precedenti ordinanze cautelari del Tribunale di Milano e del Tribunale di Roma, rispettivamente del 2010 e del 2012.
In particolare, il Tribunale di Milano aveva dichiarato che l’allestimento del negozio Kiko presenta un solo elemento in comune con i negozi Wycon, dato dalla presenza di espositori laterali sulle pareti, forma comunemente utilizzata da vari operatori del settore e che quindi non può essere oggetto di un diritto esclusivo. Il Tribunale di Roma aveva affermato che l’allestimento dei punti vendita Kiko non costituiva una forma originale e creativa tutelabile dall’ordinamento. Il provvedimento, oggetto di impugnazione, era stato confermato». Insomma, Kiko ha vinto la battaglia, ma la guerra non si è ancora conclusa.