L’evoluzione della specie: l’Osservatorio Consumatori 2012 disegna lo stato dei rapporto tra italiani e retailing.

L’evoluzione della specie: l’Osservatorio Consumatori 2012 disegna lo stato dei rapporto tra italiani e retailing.

📅14 Giugno 2012, 17:00

A cura di Re.d – Marketing & Trade

I luoghi dello shopping sono specchio e anima della nostra quotidianità.

Rappresentano il modo con cui ci relazioniamo con le altre persone, con gli oggetti, con l’immagine che abbiamo di noi stessi. Parlare di shopping significa parlare della nostra società. Disegnare i luoghi di aggregazione e del commercio significa disegnare gli spazi entro cui queste relazioni diventano possibili. Re.d, divisione di M&T specializzata nel concepting e nel design di spazi commerciali e pubblici, intende proporre periodicamente dei temi di discussione che spingano alla riflessione sulle direzioni della società contemporanea e, all’interno di essa, sull’evoluzione dei luoghi del commercio e della socialità.

In questo terzo contributo dell’anno anticipiamo le tendenze emerse dall’Osservatorio Consumatori di SIGN-Re.d relativamente al rapporto tra italiani e mondo della distribuzione. L’occasione di riflessione si lega al recente EIRE (Expo Italia Real Estate) di Milano.

L’Osservatorio Consumatori di Sign – Re.d mostra con chiarezza come si stanno evolvendo i comportamenti di acquisto degli italiani, la frequentazione dei canali distributivi e indica le tendenze per il futuro.

Evidentemente continuano i tagli ai consumi (il 78% degli intervistati ha dichiarato di averli ridotti anche nel 2011), soprattutto quelli per il tempo libero e per gli acquisti di impulso. La convenienza è sempre elemento importante di scelta ma emergono anche altre tendenze: le forme alternative all’acquisto (noleggio, baratto) e in generale un sentiment più attento alla collettività, alla sostenibilità, alle ricadute non solo economiche ma anche etiche delle decisioni individuali di consumo.

In generale si sta modificando in modo importante il modo con cui le persone si relazionano al mondo e ai luoghi dello shopping: meno fascinazione e più riflessione, meno centralità nella vita quotidiana e maggiore ricerca di soluzioni pratiche e di valore. La situazione che si prospetta per il mondo del commercio è quindi piuttosto dura: non solo sono molto plausibili riduzioni stabili dei livelli di consumo, ma anche un consistente ridimensionamento di alcuni format commerciali (in quantità, per chiusure e mancate nuove aperture) e l’emergere di altri (nuovi o già esistenti).

I luoghi di acquisto dell’oggi e la composizione dei carrelli di spesa sono definitivamente cambiati e altre rivoluzioni sono nell’aria.

Anche in questo caso le tendenze che emergono dall’Osservatorio Consumatori sono sintomatiche. Centri commerciali e ipermercati sono sempre più format commerciali in crisi, prima che di fatturati in termini di gradimento dei consumatori: troppo grandi e massificati – tempio di un consumismo che non piace più. Troppo impegnativi da visitare. Suggeritori di acquisti di impulso che non ci si può più permettere. La parola d’ordine oggi è: “stare dentro la lista della spesa pianificata”.

Anche la loro convenienza ormai è messa in dubbio: tra supermercati e outlet sono altre le alternative a maggior risparmio. Più che di “rivoluzione” (che rischia di esaltare il ruolo importante ma non esaustivo che avrà il web nel nostro futuro dei consumi), è meglio parlare di “evoluzione”, che rende l’idea di un futuro che si mischia con la migliore parte del passato: il recupero di un dettaglio storico e di quartiere (ancorché decimato); il primato della qualità e il valore solo tattico del prezzo; l’importanza delle relazioni.

Da questo punto di vista – anche se i consumatori vedono “nero” nelle proprie possibilità future di spesa – testimoniano un ritorno ad un commercio più a misura d’uomo, più legato al territorio di appartenenza, più “slow”. Ritornano i mercati ambulanti e comunali, rivive il piccolo dettaglio, quello vero: forse non con il marchio di un franchising, ma con un’idea di servizio sensata e onesta. Meglio la periferia quindi, del centro città. E infatti nel centro città tante le vetrine sono vuote…

Le evoluzioni del rapporto tra consumatori e luoghi dello shopping indurranno cambiamenti anche in un ambito più ampio.

Si modificheranno di conseguenza anche i rapporti tra produttori e distributori, nel senso di una maggiore partnership; un superamento delle vecchie logiche di contributi, probabilmente una maggiore interconnessione anche sul fronte dello sviluppo prodotto. Ben oltre le marche commerciali: occorrerà unire le forze per creare delle offerte realmente differenti e di valore, che si traducano in prodotti-soluzione offerti in luoghi appropriati e con le corrette modalità, con un’idea di posizionamento e comunicazione consistente e coerentemente sviluppata, ad un prezzo onesto (onesto, non necessariamente basso).

Difficile farcela da soli. Produttori e distributori – in futuro – dovranno essere sempre più integrati. Difficoltà crescenti soprattutto per quei brand che si sono inventati retailers: manca adesso la spinta dell’appeal della marca famosa, problematico riempire i punti di vendita di persone che acquistino oltre al guardare, anzi: l’Osservatorio Consumatori 2012 evidenzia la difficoltà che le persone hanno persino ad entrare dentro i negozi: magari una sbirciata alla vetrina, ma se l’offerta dentro non è davvero distintiva si prosegue sul marciapiedi. Con la fine del consumo compulsivo, modaiolo, spensierato e decisamente esibizionista, molti brand si trovano a fare i conti con produzioni realizzate lontane nel mondo, di scarsa qualità e ancor più scarso design. Si trovano a non poter più contare con i tradizionali contenitori d’oro di un tempo: outlet e gallerie commerciali sono in crisi e in molti fanno fatica a tenere aperti i battenti.

Cosa riserverà il futuro?

Novità anche dal punto di vista della comunicazione dentro e fuori il punto di vendita. Se si modificano i linguaggi e la gerarchia di valori e priorità della società, secondo l’Osservatorio Consumatori tutta la customer experience deve essere riletta. Purtroppo non basta esaltare il canale social network, troppo spesso sopravvalutato o osannato come l’unico media ormai possibile, in questo senso affiancato all’e-commerce come chiave salvifica. Trattasi di una nuova realtà, che come tale deve essere considerata e valutata, ma che non risolve il problema di parlare al consumatore. Inoltre i risultati – come iniziano a testimoniare alcune aziende – sono imprevedibili, difficili da gestire e da valutare. Insomma: gli spazi sociali sul web sono un luogo di relazioni individuali dove il linguaggio delle aziende viene forzato e suona spesso falso. Occorre ripensare anche al ruolo della location (le persone si muoveranno in modo diverso e in luoghi differenti); ai percorsi di navigazione in store; alla relazione con la comunicazione didattica e emotiva in store; alle modalità di esaltazione dell’impulso.

È difficile prevedere oggi la reddittività – o anche solo il flusso di clienti – di un pdv all’interno di una galleria commerciale, mentre solo poco tempo fa questa era una certezza. I centri cittadini si svuotano di un dettaglio ormai omologato, sopravvive forse meglio il dettaglio di quartiere e anche i costi di affitto (e ora di IMU) giocano una parte importante nel ridisegnare le nuove strade della marginalità e del profitto. Cambiano le valutazioni sulle shopping experience in store: la maggiore trasversalità di frequentazione commerciale di tutti i consumatori ridisegnerà i confini tra desiderato- opportuno e inutile-esagerato. Il tema dell’impulso sembra essere particolarmente delicato: impossibile mantenere reddittività sufficiente basandosi sui soli acquisti pianificati.

La sollecitazione di quelli di impulso è necessaria ma deve seguire nuovi linguaggi e stimoli: la massificazione delle merci è elemento di fastidio per i consumatori oggi, più che di interesse: testate di gondola promozionali e cestoni non sono più al passo con i tempi e i desideri dei consumatori. Le nuove vetrine dei brand sono forse più le web community virtuali non che strutture di vetro e infissi. Il linguaggio dell’impulso deve essere più sottilmente seduttivo e  maggiormente rivolto verso la soluzione oppure l’esperienza individuale. Tutta la segmentazione della clientela per tipologia di lifestyle fa fatica a quadrare con i comportamenti di consumo in store, anzi, con la stessa scelta dei luoghi di acquisto.

Impossibile quindi pianificare aperture e ristrutturazioni con gli stessi criteri economici del passato.

Dal calcolo dei bacini di utenza, all’individuazione della concorrenza in zona (chi? Quale zona?) nulla è più standard, almeno fino a quando riusciremo a capirci qualcosa e l’evoluzione rallenterà rendendo più facile seguire i trend. Occorre una visione molto più trasversale e una maggiore creatività. In generale è possibile affermare che occorre ripensare al modo con cui sono costruiti i conti  economici delle imprese della retailers oggi, alla luce dei nuovi comportamenti di consumo che tolgono attualità a quelle “ancore” su cui si era basato il business pre-crisi. Si è aperto troppo senza pensare al conto economico anche per il perverso meccanismo delle capital contribution: il commercio ha progressivamente perso la sua anima…

Nuovi consumatori, nuovo contesto competitivo, nuovo conto economico, di tutto questo ci parla L’Osservatorio Consumatori. Ma anche la necessità di elaborare una visione strategica per il domani e all’interno di questa ridisegnare – come produttore o insegna distributiva – il proprio ruolo.


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