OSSERVATORIO: Quanti negozi devono chiudere in Italia?

OSSERVATORIO: Quanti negozi devono chiudere in Italia?

📅22 Gennaio 2013, 13:52
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Aprire oggi un negozio per un’insegna è diventato un costo certo e un ricavo potenziale tutto da dimostrare, questa è la cruda realtà.

Viene da dire che forse era il caso di pensarci prima perché negli anni le politiche di espansione delle reti commerciali, così come quelle delle grandi superfici, hanno seguito logiche diverse e spesso poco decifrabili, se non pensando a uno sviluppo immediato di liquidità e al guadagno immobiliare.

In Italia, è inutile nasconderlo, i tempi sono tali da far pensare ad un non ritorno ai livelli di consumo degli anni passati, e non solo per semplice mancanza di denaro. Si tratta di un cambiamento più profondo, legato alla noia da sopravvenuta indigestione da shopping. E i retailers ne sono responsabili, almeno in parte.

Qualche dato: sul territorio italiano troviamo ad oggi circa 2.600 negozi delle maggiori catene di intimo (Yamamay circa 580, stessi numeri –più o meno- per Calzedonia, Intimissimi e Golden Point). Tutti collocati l’uno a ridosso all’altro in un continuum nelle gallerie commerciali e sulle strade dello shopping cittadino. Non cambia molto se consideriamo i 900 negozi di Elettronica di consumo, le 2.700 profumerie, i 2.000 negozi di abbigliamento bimbo, oppure, rimanendo alla sola Lombardia, i 600 negozi degli operatori della telefonia.

E se diamo un’occhiata alla mappa della distribuzione commerciale in Italia (fonte: Mark Up 2012) scopriamo che i centri commerciali al dettaglio (di ogni ordine e grado) oggi sono 1.055 (per un totale di quasi 33.000 unità commerciali), a cui si sommano 28 outlet center e 164 retail park. Essendo gli italiani per l’ultimo censimento quasi 60 milioni, c’è un centro commerciale ogni 56 mila individui circa, neonati e novantenni compresi

La quantità smisurata dell’offerta commerciale (già prima in tempi di “vacche grasse”) rispetto alle potenzialità di mercato, oggi, in tempi di recessione, sembra veramente assurda e impone una revisione delle politiche commerciali delle aziende.

Ma se ci rivolgiamo ad un’analisi qualitativa dei dati emerge che tutte le insegne, tranne poche eccezioni, presidiano tutti i canali (centro commerciale, centro storico, outlet, travel retail) e all’interno degli stessi canali le sovrapposizioni sono la normalità così come la non omogeneità dei format per dimensioni, scontrino medio, redditività. Tutti da tutte le parti in maniera confusa.

Nello stesso centro storico di Milano potete trovare la stessa insegna presente con due punti vendita a 500 metri l’uno dall’altro, peraltro in vie commerciali o più specializzate, ma il primo può essere grande circa 70 mq, il secondo 200 mq! Analizzando i concept, prendiamo l’elettronica di consumo, siamo di fronte a idee di successo targate anni ’80 che oggi non incontrano più i significati di consumo delle persone ma che rimangono altamente costose nella gestione per i retailers (un altro problema…). In 1500 mq trovate dal tablet di ultima generazione al frullatore, passando per libri, caraffe di acqua depurata, giochi elettronici, televisori 3d da 1.500 euro. Per non parlare della cronica mancanza di servizio sia per le decisioni di acquisto che per il post vendita e il problem solving.

Se prendiamo invece ad esempio un’area di Milano ed hinterland, quella dell’isocrona di 20 minuti della Zona Nord Est troviamo ben 17 centri commerciali fondamentalmente posizionati sulla direttrice A4-bretella nord, un tratto di circa 35 km in tutto, 25 km di raggio da Cinisello Balsamo.

Sicuramente troppi e troppo vicini. Un’offerta bulimica che –anche volendo è difficile da sostenere.

Se varchiamo la loro soglia, soffermandoci solo sulla qualità dell’offerta commerciale, tralasciando l’esperienza complessiva d’acquisto ormai miserrima, ci rendiamo conto che è anche peggio dell’evidenza dei numeri. Il problema di fondo è che sono veramente tutti uguali. Stesse insegne, stessa mancanza di posizionamento: il CC Metropoli si sovrappone al CC Carosello per quanto riguarda la presenza di stesse insegne in galleria per il 47% e al CC Il Globo per il 56%. Quest’ultimo si sovrappone al CC Vulcano per il 39%.

Sono solo esempi di quanto si vorrebbe dimostrare: e cioè che prima ancora di una crisi di consumi le difficoltà dei centri commerciali ad attirare acquirenti dipendono da una crisi di posizionamento, di strategia, di iniziativa.

Tra le insegne più presenti (prendiamo il caso di 13 centri commerciali su 17, sovrapposizione del 77%) troviamo: Intimissimi, Kasanova, Goldenpoint, Motivi, Oltre, Salmoiraghi e Viganò, Gamestop, Fiorella Rubino, Bluvacanze…

I settori più inflazionati sembrano essere ancora quelli dell’intimo e dell’elettronica.

Quanti negozi devono chiudere in Italia?

Non si tratta di essere pessimisti quindi se affermiamo che la situazione debba inevitabilmente essere ripulita, chiudendo e razionalizzando reti commerciali sviluppatesi oltre ogni buon senso e magari approfittare anche di nuove opportunità retail più promettenti e differenzianti.  Per molti casi si tratta inevitabilmente di un costo molto pesante, da un punto di vista economico oltre che di immagine. Ma si vedono poche alternative.

La differenza la può fare il modo con cui verranno prese le decisioni di ristrutturazione della rete.

Non sono certo più isocrone e baricentri a spiegare la consistenza della domanda, quanto una riflessione più qualitativa sul funzionamento complessivo dell’area del commercio che tenga in considerazione che:

Quanti negozi devono chiudere in Italia?
  • Le politiche commerciali di sviluppo delle reti devono essere coerenti con il posizionamento dell’insegna scegliendo i canali più appropriati per sostenerlo e valorizzarlo
  • Canali diversi e location diverse, è bene ribadirlo, hanno clienti e/o funzioni d’uso diversi, gli stereotipi del commercio come “la famiglia” e la “signora Maria” non esistono più
  • Se cambiano i significati d’uso per le persone devono cambiare e adattarsi anche i concept di punto vendita
  • L’apertura e la gestione di un punto vendita, il commercio in generale, ha ormai delle regole precise per quanto riguarda la sua redditività, lo scontrino medio, il costo e la resa al mq.
  • Internet crea un consumatore sempre più informato ed esigente, il punto vendita deve esaltare e valorizzare le peculiarità del luogo fisico del commercio oppure attrezzarsi come uno show-room per il ritiro della merce.

Da qui si deduce che i retailers devono attrezzarsi per un lavoro ben diverso in sostanza – da quello effettuato fino ad un recente passato.

Ieri la parola d’ordine era: APRIRE APRIRE APRIRE. Oggi diventa un: RESISTERE, FAR FINTA DI NULLA, METTERE IN LIQUIDAZIONE DALL’OGGI AL DOMANI.

Forse esiste una via di mezzo, più sensata e proficua: ragionare per tempo.

a cura di Carlo Meo, Amministratore Delegato di M&T
© Pubblicato da AN shopfitting magazine


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